Tempo d’estate, che per molti di noi diventa tempo di vacanze, per chi ama il vino e il suo mondo, diventa il tempo d’attesa per la vendemmia e le degustazioni autunnali.
Già, perché sempre più italiani hanno riscoperto l’arte della vigna, e volendo recuperare le tradizioni antiche di famiglia o scoprirle del tutto, hanno iniziato a coltivare vitigni dove sia possibile, mettendosi alla prova come dei provetti viniviticoltori.
Funzionerà? Sarà la vendemmia di settembre a decretarlo, ma per chi vuole imparare il mestiere di viticoltore o diventare sommelier, sia per passione che per lavoro, è bene saperne sempre di più…
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Come si fa il vino di produzione propria
Per sfida o per lavoro, coltivare un vigneto e poi produrre vino non è impossibile, anzi, ma necessita di alcune basi del mestiere, che sono la base per fare il vino in casa e poi decidere: gustarselo tra amici come novelli sommelier, oppure produrlo limitatamente e poi venderlo. Di certo, dipenderà dai risultati ottenuti, quindi il terreno per coltivare un vigneto deve essere scelto con attenzione, tanto quanto le uve da produrre.
I sistemi di vinificazione si possono conoscere sia tramite un corso accurato di avvicinamento al vino, sia tramite un contatto diretto con viticoltori esperti – che siano i nostri nonni come i produttori di un’etichetta ben precisa (in Italia ce ne sono molti!).
Si parte dall’assioma che un buon vino dipende dalle uve di qualità, che vanno selezionate in base alle esigenze di produzione. Uve per vino bianco, rosso, uve con una base dolce e fruttata, uve pregiate o tipiche di un territorio, e così via.
Le uve del territorio sono quelle disponibili più facilmente, mentre gli “innesti” con uve che non appartengono a quel territorio, vanno effettuati da esperti dato che non sempre i risultati del terreno e del lavoro di viticoltura saranno eccellenti.
La raccolta delle uve
In base al tipo di vitigno si determina il periodo migliore, che parte comunque dalla fine dell’estate, da fine agosto ai primi di settembre, fino all’inizio dell’autunno, verso la fine di settembre e gli inizi di ottobre.
Decidere il momento più adatto per la raccolta uve non è semplice ma neanche impossibile, dato che bisogna capire quale sarà il risultato che si vuole ottenere: per un vino ad alto contenuto alcolico, si deve ritardare la raccolta uve per far sì che aumenti il grado degli zuccheri; in caso contrario, ovviamente, si anticipa per evitare che gli zuccheri ostacolino la fermentazione. Anche le condizioni meteorologiche sono importanti da valutare e il fatto che sia voluta una vinificazione di vino bianco o vino rosso, crea una raccolta differenziata delle uve.
La destinazione dell’uva, da tavola o da vino, anche fa la differenza, così come alcuni vitigni particolari: il terzo periodo di vendemmia, quello tardivo fino a novembre addirittura, è destinato ai vini di maturazione tardiva come ad esempio il Nebbiolo.
La maturazione dell’uva viene misurata dal rapporto tra acidità totale e zucchero, sia con metodi di analisi moderni, sia con il palato e l’occhio esperto dei vignaioli di un tempo. Per alcuni, basta assaggiare l’uva per capire il livello zuccherino ideale per quella coltivazione e quel terreno!
In ogni caso l’uva non va raccolta quando è umida visto che l’acqua diluisce il mosto, né va raccolta quando è troppo calda, perché l’uva stessa potrebbe fermentare prima del dovuto.
I grappoli si puliscono dai chicchi rovinati, senza lavarli dato che potrebbero perdere i lieviti in tal modo. Chi ha usato degli antiparassitari, sa che questi non andrebbero via con un solo lavaggio mentre i lieviti sì!
Pigiatura, lievitazione e fermentazione dell’uva
Dopo aver raccolto e pulito le uve, si inizia la pigiatura dei chicchi che serve alla loro rottura e all’eliminazione dei raspi, che può essere fatta sia manualmente (diraspare i raspo dalla polpa e dalle bucce) oppure tramite la macchina pigiadiraspatrice.
Rimane a questo punto il mosto, formato da bucce e succo d’uva, il quale va raccolto nei celebri tini o tinozze, che ad oggi possono essere sostituiti da grandi contenitori appositamente creati per questa operazione.
Il locale dei vini deve essere igienicamente impeccabile, areato e libro da odori forti. La fermentazione del mosto sviluppa anidride carbonica, di certo non positiva per la nostra salute, per questo bisogna fare attenzione ai locali della vinificazione.
Chi fa il vino in casa dovrà scegliere se usare il metodo di fermentazione naturale oppure con lievi artificiali. Nel primo caso, si utilizzano i lieviti stessi del vino, che fermentano sulle bucce degli acini e scompongono lo zucchero trasformandolo in puro alcol – gli zuccheri nel mosto vanno misurati col mostimetro che misura il momento in cui tutto lo zucchero nel mosto si è trasformato in alcol e la fermentazione dei lieviti termina.
Il metodo classico per agevolare la fermentazione dei lieviti nel mosto è quello di lasciarlo per almeno 2 settimane nel suo contenitore, senza chiuderlo ermeticamente. La temperatura esterna innesca la fermentazione, che continua con i processi chimici naturali interni al mosto. Più è caldo l’ambiente più i lieviti si scatenano, quindi l’ideale è che le stanze che ospitano il mosto siano comprese tra 21 e 25 gradi.
Il mosto va smosso almeno due volte al giorno, per evitare che il cappello formato dalle bucce in superficie possa bloccare l’entrata di ossigeno, inoltre seccandosi e bloccando il rilascio delle sostanze che rendono aromatico il vino fatto in casa. Il famoso stura-lavandino, veniva usato sempre per smuovere il cappello di bucce, quindi occhio a maneggiarlo bene!
Inoltre, il famoso “ribollire dei tini” avviene veramente, quindi non colmare troppo i recipienti oppure il mosto tenderà a fuoruscire dagli stessi.
Pressare il mosto
Dopo tale tempistica, il mosto dovrà essere versato nella pressa per il vino, valutando quale livello di pressione esercitare.
Fare il vino in casa richiede uno sforzo di studio delle nozioni chimiche nei processi di vinificazione e, quindi, andrà valutato se pressare un vino in modo consistente, per renderlo denso di tannini e amarognolo, oppure calibrare la pressa e rendere il vino morbido, senza strizzare le bucce oltre il limite.
Inoltre, va ricordato che si producono 70 litri di vino circa per ogni quintale di uve, tramite torchio, altrimenti la resa delle uve è in calo.
Dopo la fase della pressa è necessario affinare il vino all’interno di grandi damigiane, chiarificandolo. Il vino fatto in casa, può essere anche maggiorato a livello di tannini in questa fase, ma è fondamentale sapere come dosarli. Un esperto vinificatore sa che i tannini non vanno aggiunti a caso, e per fare un vino in casa che non comporti rischi, è meglio evitare.
Fate riposare il vino per alcuni mesi, in modo da creare dei sedimenti nel fondo che andranno poi scrollati per un travaso, di regola da una damigiana all’altra. Il riposo del vino va fatto in modo accurato, però, perché tali sedimenti non vanno agitati né scossi troppo. Il travaso va eseguito lentamente, per la chiarificazione finale o pulizia del vino.
A questo punto si può assaggiare il prodotto di tanta fatica, sperando di aver creato in tanti passaggi un vino ottimo e non un… aceto!
Spesso in questa fase, prima dell’imbottigliamento, si aggiungono al vino i solfiti, ovvero sostanze a base di zolfo in grado di evitare l’acidificazione e una nuova fermentazione. L’uso dei solfiti va studiato attentamente, dato che le dosi da utilizzare sono al milligrammo, oppure l’odore del vino virerà verso una sinistra puzza di zolfo!
L‘imbottigliamento del vino è l’ultima fase, da fare con bottiglie pulite e senza sedimenti, tappando e sigillando il vino con i tappi più idonei, quelli in sughero per le lunghe maturazioni in bottiglia e quelli in silicone per degustarlo nel prossimo inverno!